Quanto era importante Foggia?

Ott 29th, 2013 Postato in Documenti, Storie, testimonianze | Commenti disabilitati su Quanto era importante Foggia?

10476_431313366915189_1691679147_nDi seguito uno degli articolo pubblicati per la rubrica settimanale ‘Foggia in Guerra’ su l’Attacco.

Militarmente Foggia era importante e questo si sapeva ma fino a che punto? Foggia aprì davvero la strada verso Roma e Berlino oppure fu solo una presa di posizione degli alleati? A questi interrogativi ci vengono in soccorso i documenti sparsi negli archivi di tutto il mondo e che riportano il nome di Foggia, come quello custodito nel National Imperial War Museum di Londra che, tradotto dall’inglese, sottoscrive:

Anche se è difficile separare le attività delle unità strategiche e tattiche delle forze aeree britanniche e americane dopo l’invasione d’Italia, questo resoconto riguarda principalmente il ruolo di AAF. Nessuno ha descritto cosa hanno fatto in Italia i nostri compagni d’arme della RAF.

La cattura delle basi aeree della pianura di Foggia nelle prime fasi della campagna italiana può essere scritta negli annali militari come una delle chiavi per la liberazione dell’Europa, perché era lì che gli alleati, al fine di far partire strategicamente i bombardieri pesanti che dovevano volare verso Adolph Hitler “di sorpresa” e contribuire a distruggere la sua macchina da guerra.

Relativamente poco sviluppata sotto il controllo italiano, i tedeschi avevano creato un vasto sistema satellitare a Foggia per gestire centinaia di aerei. Mentre erano ancora in mano tedesca sono stati sottoposti a numerosi bombardamenti e per questo motivo, oltre al fatto che sono stati costruiti per velivoli leggeri, non è stato possibile immediatamente portare i bombardieri pesanti su quei campi. Ma i pianificatori AAF avevano da tempo riconosciuto che il Sud Italia poteva essere la base per una forza aerea che poteva colpire i Balcani e  gli impianti industriali  tedeschi. Gli ingegneri hanno attivato il Force XV Strategic Air, fortezze volanti e liberatori stavano usando Foggia come area di sosta per i voli verso gli obiettivi della Germania meridionale e in Austria.

E’ un documento marcato come ‘Top Secret’ e che sottolinea il ruolo fondamentale che la Capitanata svolse per la risoluzione del secondo conflitto mondiale. La gran parte degli studiosi afferma che dalle basi aeree foggiane i velivoli alleati bombardavano la Romania, Ploesti fu distrutta da bombardieri partiti da Foggia, l’Austria e il sud della Germania, continuando ad indagare nei vari archivi abbiamo trovato una mappa con varie linee che partono da Foggia e terminano a Berlino, con una chiara didascalia che toglie ogni dubbio:’ The Daimler-Benz Tank Factory in Berlin, Germany on March 24, 1945. Over 1,600 miles from Foggia, Italy to Berlin, Germany and back. The 2nd Bomb Group’s longest mission in 2 WW.
It was a long, tough mission but closer to the end of the war.’  ‘L’azienda Daimler-Benz di Berlino, Germania, 24 marzo 1945. Oltre 1,600 miglia da Foggia, Italia fino a Berlino, Germania e ritorno alla base. E’ la missione più lunga del  2nd Bomb Group dall’inizio della seconda guerra mondiale ma che consentì di avviarsi alla fine della guerra.

Lo stesso generale Eisenhower ordinò alle sue truppe di concentrarsi su Foggia prima di prendere Roma, e una volta scesi dagli aerei e accampati sul nostro territorio costruirono un aeroporto militare ancora oggi in funzione, l’Amendola, edificato nel 1944 consentì la partenza per molte missioni in tutta Europa, così come Benito Mussolini aveva senz’altro a cuore la Capitanata costruendo molte opere e palazzi di stampo ed architettura chiaramente fascista di cui ancora oggi ci sono i segni tangibili, gli alleati avevano una preferenza per Foggia, a loro modo di vedere entrambi distrussero qualcosa per costruire altro.

Chi ci ha perso in tutto ciò sono solamente i civili, la povera gente, che lavorava sodo per un tozzo di pane, che era pidocchiosa nel vero senso della parola, che viveva in strada nel fango, che non aveva acqua potabile a disposizione e che nonostante tutto è sempre rimasta umile, e laboriosa risollevando dalle macerie le sorti di un’intera città. Tanta era la fame che non bastava la paura delle bombe a chiudere lo stomaco, come riportato in un aneddoto della testimonianza inviata a ‘Foggia in Guerra’ da Anto Paky:’ Di lì a poco, cominciarono i bombardamenti, tutti cominciarono a scappare verso il rifugio più vicino, tutti tranne il secondo dei figli. Mia nonna non vedendolo, tornò in casa e lo vide intento ad arrampicarsi verso il panettone! “Giuà che st’j facenn?” (Giovanni, cosa stai facendo) – disse mia nonna e lui di tutta risposta disse “Mammà si proprij agghià murì, vogghij ess sazij!” (Mamma se proprio devo morire, voglio essere sazio).

Cav. Giovanni Battista Corvino, un foggiano al fronte.

Giu 2nd, 2013 Postato in Memoria, Storie, testimonianze | Commenti disabilitati su Cav. Giovanni Battista Corvino, un foggiano al fronte.

Incontriamo il Cav. Giovanni Battista Corvino che ci racconta la sua storia in guerra. Foggiano e oggi 91enne, con una grande lucidità e con ottima proprietà di linguaggio, insignito dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano di due medaglie di Bronzo al valore,  ci dice:’L’altro giorno ho guardato il calendario, ho visto che era il 28 maggio e ho ricordato che proprio quel giorno, settant’anni fa Foggia veniva bombardata per la prima volta ed io ero al fronte, in Slovenia, combattevo per la patria e tentavo di scacciare gli slavi, non ho vissuto in prima persona i bombardamenti ma posso confermare che quello fu un vero atto criminale poiché il 25 luglio del 1943 ci fu il Gran Consiglio del Fascismo che sancì l’uscita di scena di Mussolini, messo fuori proprio dai suoi uomini, poi in accordo con Vittorio Emanuele III, prese il potere Badoglio che considero un traditore in quanto scese a patti con gli americani trattando per la resa dell’Italia. L’armistizio fu annunciato in modo strano ed anomalo, non fu direttamente comunicata a noi soldati la resa e la sera dell’8 settembre fu diramato in radio il comunicato ma io ero in Slovenia venimmo avvisati solo la mattina seguente e regnava la confusione totale, non sapevamo come comportarci. Ci riunimmo al confine slavo e l’11 settembre ci portarono a Gorizia, nonostante ufficialmente la guerra fosse finita, gli slavi volevano far saltare il ponte sull’Isonzo e io e i miei uomini lo difendemmo , la battaglia si preannunciava ardua ma improvvisamente tutti sparirono, raccogliemmo il nostro materiale ed andammo a Feltro, fui accolto dal medico militare, dott. Vergani che mi portò a casa sua, a Belluno, qui incontrai un antifascista francese, facemmo un buon pranzo a base di Lepre e mi fu affidato il compito di gestire uno squadrone di partigiani in Veneto, ero titubante sull’incarico così presi il treno e mi diressi ad Ancona, improvvisamente tutto si fermò e fui catturato dai tedeschi che mi tennero prigioniero per 15 giorni. Devo dire che ci trattarono bene, ci facevano marciare e giocare a carte, non era vissuta come una vera prigionia, una brutta sorte toccò alla divisione Messina che era prigioniera con noi, la maggior parte di loro fu deportata nei campi di concentramento in Germania. Con vari escamotage e con un pizzico di fortuna riuscì ad evadere pensando che volessero deportare anche me, raggiunsi di corsa la stazione e sempre in treno arrivai a Pescara, la macchina era a vapore e faceva rifornimento di acqua a Ortona a Mare, scesi li, era fine settembre del ’43.’

‘Seppi che il 1 ottobre gli americani erano arrivati quasi a Termoli ma i tedeschi continuavano a compiere rastrellamenti selvaggi di uomini e militari, lasciai ogni mezzo e a piedi, evitando le strade, attraversai il Sangro e il Trigno, giunsi a Guglionesi, qui fui fatto prigioniero dagli americani che mi interrogarono anche loro mi trattarono bene, gli spiegai che ero di Foggia, così mi portarono nella mia città. Lo spettacolo fu triste, la mia famiglia era sfollata a Panni, i soldati mi lasciarono alle Marcelline, essendo reduce di guerra, con esperienza di ufficiale e quindi un tesoro per l’esercito, fui convocato a San Severo, poi Bari e Lecce, mi arruolarono in una divisione di Alpini, ci radunammo a Bisacce. Da qui fummo trasferiti ad Alberobello e infine a Nardò, creammo il gruppo degli Aplini Piemonte, intanto Badoglio aveva chiesto agli americani di collaborare, quindi ora il nostro esercito era alleato al loro, i bersaglieri di Brindisi costituirono un battaglione motorizzato, a Montelungo, tra Molise e Campania, era l’8 dicembre, pioveva e c’era molta nebbia, erano tutti soldati inesperti, ne conoscevo alcuni, morirono praticamente tutti, 160, ora i loro resti riposano in un cimitero proprio a Montelungo, gli americani constatarono che l’esercito italiano non era in grado di sostenere il peso di quella guerra allora eravamo la seconda scelta, eravamo sempre dietro le loro linee.’

‘Una linea molto importante era quella sull’asse Anzio, Cassino e Ortona a Mare, al centro c’era Monte Marrone, punto cruciale per i tedeschi, era una postazione di osservazione sul Volturno, da li partivano gli allarmi in caso di attacco e dalla parte più in alto poi partivano i colpi di artiglieria. Quella postazione non era sempre occupata, ci diedero il compito di raggiungere e conquistare quel monte, scalammo la parete sud, poco visibile e molto ripida, la sera del 31 marzo 1944 arrivammo a Monte Marrone, inaspettatamente i tedeschi batterono in ritirata ma pensando che fossimo fuggiti anche noi, una pattuglia, il giorno seguente passò di li e per loro non ci fu scampo. Tra l’8 e il 9 aprile, giorno di Pasqua, i tedeschi tentarono di coglierci di sorpresa, volevano spingerci giù, c’era la neve, non potevamo correre, ci riparammo come potevamo, noi, la III compagnia, ci facevamo scudo con le rocce, sparavamo e pregavamo, dopo molte ore riuscimmo a respingerli, questa è un’impresa passata quasi alla storia, gli altri squadroni considerarono quel posto come un santuario, da soli riuscimmo a resistere, anche se molti miei compagni persero la vita, io sono salvo per fortuna. Il passo successivo fu quello di occupare Monte Mare, con la collaborazione dei paracadutisti aprimmo di fatto la strada per Roma, noi ci consentirono di andare oltre, gli americani vollero appropriarsi del merito e dopo avergli aperto la strada ci ordinarono di fermarci, loro proseguirono.’

‘Per me la guerra continuò, il 20 luglio ’44 il nostro squadrone entrò per primo a Jesi, intanto si era costituito il CIL (Corpo Italiano di Liberazione), ci fermammo sulla linea Gotica poiché dopo una lunga permanenza a Jesi, stava arrivando l’inverno. Partecipai anche alla campagna di Russia, dovevamo prendere il Caucaso, ci comandava il generale Gariboldi, che ci fece spostare sul Don, avevo il compito di comandare i fucilieri, lavorammo duro per costruire le trincee e i bunker in vista del rigido inverno. A dicembre l’offensiva russa fu devastante, ritirammo di 20 chilometri, durante uno di questi combattimenti, il 28 dicembre, rimasi ferito ad un braccio, era mezzanotte, il freddo era glaciale, ci riparammo dietro cumuli di paglia, facevo servizio di guardia, arrivai alla quarta e ultima postazione, dal buio vidi il luccichio dei fucili, erano puntati contro di me, i soldati avevano una stella rossa, era russi, alzai le mani, mi tolsero le armi, credevo che fosse la fine per me, per incoscienza e preso dal terrore in un attimo di distrazione iniziai a correre ed urlare, inaspettatamente loro non mi spararono, raggiunsi gli altri spiegai tutto e ci mettemmo in guardia ed appostati, anche quella fu una violenta battaglia, riuscimmo ad avanzare ma all’ultima postazione, quella dove fui fermato, una raffica di proiettili mi sfiorò, uno si conficcò nel braccio vicino al petto, per una questione di centimetri mi salvai ancora anche li molti commilitoni persero la vita.’

‘Finita la guerra, rientrai a Foggia nel gennaio del 1946, mi chiesero di restare in caserma visto il servizio svolto sul fronte ma rifiutai, se dovevo essere nell’esercito volevo muovermi e viaggiare, così presi un posto alla cartiera, dove già lavoravo dall’età di 18 anni prima di partire, confermo che lì c’era uno stabilimento di armi chimiche, la struttura era semplice, davanti c’era lo stabilimento per produrre la carta e sul retro un capannone preso dalla Saronio per esperimenti sui prodotti chimici, in cartiera, vista l’assenza di cellulosa, si lavorava una soluzione salina, con un sistema di silos e aeratori, si otteneva la soda nella quale veniva immersa la paglia che poi diventava carta. tutti i fumi derivanti dal processo venivano raccolti da apposite tubazioni che erano collegate direttamente con l’impianto chimico attiguo, da quello che so, oltre qualche esperimento sui processi chimici e sull’Iprite e il Fosgene non si andò, gli americani arrivarono prima che si potesse davvero produrre una bomba con i prodotti chimici.’