L’aeronautica militare in Capitanata nella guerra di liberazione

Dal 24 aprile all’8 maggio a palazzo Dogana, a Foggia, si terrà la mostra ‘L’aeronautica militare in Capitanata nella guerra di liberazione’. L’obiettivo è quello di far conoscere il ruolo fondamentale che la nostra terra svolse durante la seconda guerra mondiale, soprattutto dall’arrivo delle forze Alleate per la liberazione del Paese. L’evento è stato promosso dall’associazione culturale “Epitaffio” e dal Gruppo Modellistico e Ricerche Storiche Foggia.

Compressore di un aereo americano -foto Roberta Mastroluca

Incontriamo Gianfranco Pesola, del Gruppo Modellistico e Ricerche Storiche Foggia, che ci guida nel percorso storico creato con fotografie d’epoca, descrizioni, modellini fatti a mano e reperti vari.

‘Il 3 settembre 1943 si firmò l’armistizio a Cassibile, ma questo fu tenuto segreto per cinque giorni. Per la verità, un po’ tutti sapevano delle intenzioni degli Italiani di terminare una guerra disastrosa di arrendersi alle truppe Alleate, ma il documento non venne reso subito ufficiale ed era poco chiaro sulla posizione dell’Italia verso gli ex alleati tedeschi. Si generò una grande confusione, il Re fuggì a Brindisi, con una firma si capovolsero gli schieramenti, l’Italia non era più alleata della Germania.’ ci dice Pesola, indicando le foto che testimoniano quei momenti, poi continua: ‘quando i nostri piloti si alzavano in volo con i caccia per attaccare i nuovi nemici,  i tedeschi, un aereo con un ufficiale inglese a bordo seguiva l’azione d’attacco per accertarsi della veridicità delle truppe italiane. La forza aerea del nostro Paese era decisamente scarsa sia dal punto di vista numerico che qualitativo. Tra gli aerei più diffusi ancora all’epoca dell’Armistizio e nei primi mesi di Cobelligeranza c’era il Macchi c-200, con un motore che generava una potenza massima di 850 cavalli, decisamente inferiore a quella generata dai caccia anglo-americani e tedeschi. Questi aerei venivano riparati con pezzi presi da altri velivoli abbattuti; ovviamente la qualità era decisamente scarsa, con coefficienti di sicurezza quasi nulli.’

Uniforme originale dei piloti -foto Roberta Mastroluca

Continuando con l’illustrazione delle caratteristiche dei velivoli, ‘l’evoluzione del Macchi C 200 fu costituita dal Macchi c-202 e dal Macchi c-205, i tedeschi all’inizio della guerra ci fornirono motori nuovi ma il punto debole era l’armamento, venivano prodotti in Italia dalle aziende Breda, Sai-Ambrosini e Macchi. Dopo l’Armistizio l’Italia si spaccò in due, le fabbriche di armi ed aerei erano tutte al nord, al Sud c’erano solo alcune officine per la manutenzione per cui si crearono gruppi specializzati di uomini con il compito di scandagliare le campagne in cerca dei resti degli aerei abbattuti per recuperare dei pezzi per la manutenzione o la ricostruzione di altri velivoli.’

Pala dell'elica di un bombardiere americano e in basso un pezzo di grella - foto Roberta Mastroluca

‘ Anche il Gino Lisa ebbe un ruolo fondamentale, ad esempio da esso partirono degli aerei con i giornali sulle ali, lo scopo era quello di lanciarli su Roma per informare che gli Alleati stavano liberando il Paese, dato che la Capitale era in mano ai tedeschi. Partirono due dei nostri migliori piloti, inserirono i giornali nel flaps, e giunti sulla Capitale, li sganciarono sulle sponde del Tevere. Questo fu un gesto più morale e politico, quasi un avvertimento, ma di grande importanza psicologica ‘ continua a spiegarci Pesola.

Proseguiamo con la descrizione di altri aerei che operarono in Capitanata, attraverso delle foto che Pesola ci illustra: ‘questa foto del bombardiere italiano S79 ha un grande significato; infatti, volava ancora con la croce dei Savoia dipinta sulla coda e fu riadattato con i nuovi simboli italiani, disegnando la coccarda tricolore poco dietro le ali. Quel simbolo è utilizzato tutt’oggi dall’Aeronautica Italiana e quell’aereo segna indubbiamente il passaggio da un periodo storico ad un altro. I Savoia Marchetti s79erano dotati anche di siluri ed erano usati soprattutto per attaccare le navi. In dotazione alla nostra aeronautica arrivarono poi degli Spitfire inglesi, che erano dei caccia monoposto addirittura di terza mano. Avevano sorvolato i cieli durante le campagne in Africa poi in Jugoslavia e infine arrivarono agli italiani. Molti di essi non erano funzionanti, i nostri tecnici e meccanici con un grande lavoro riuscirono a recuperare circa cento di questi velivoli. Il P39 era invece un aereo da caccia e attacco al suolo americano, di concezione molto diversa dai nostri, con il motore situato nella parte posteriore, aveva un carrello davanti e due carrelli sotto le ali, non era adatto i duelli aerei e le acrobazie a cui i nostri piloti erano addestrati, ma era molto efficace per attacchi su obiettivi al suolo. Di rilevante importanza fu anche la base di San Nicola di Varano, situata sulla riva del lago di Varano. Gli idrovolanti italiani Cant Z 501 e Z 506 partivano dalle acque del lago cercando di salvare i piloti degli aerei abbattuti, il lavoro non risultò semplice, ma quella squadra riuscì a salvare quaranta uomini.’

La mostra poi prosegue con l’esposizione di reperti storici forniti dal Museo civico di Foggia o da appassionati. In una vetrina sono esposte le foto di due eroi dell’aeronautica nativi della nostra terra, il capitano Giuseppe Pesola e il sottotenente Vito Petruzzelli che cadde nei pressi di Campomarino.

Mitragliatrice di bordo americana - foto Roberta Mastroluca

‘Giuseppe Pesola, giovane pilota, combattè nei cieli di Malta e in Nord-Africa; il volo era la sua vera passione, a lui non importava tanto la guerra, gli schieramenti e la politica, solcare i cieli era il suo più grande sogno e lo realizzò arruolandosi nell’aeronautica. In Nord Africa, a seguito di un problema al motore del suo caccia Macchi C 202, fu costretto ad atterrare e fu catturato. Mentre era in corso un processo per i suoi numerosi tentativi di fuga dal campo di prigionia in Egitto, giunse la notizia dell’armistizio dell’8 settembre e in seguito alla liberazione chiese di tornare a combattere per la nuova Italia, al fianco degli ex nemici. Fu mandato nella base di Galatina (LE) e doveva effettuare il volo di ripresa. Il suo addestramento, secondo la tradizione italiana dell’epoca, era basato sull’acrobazia aerea, ma quegli aerei erano molto deteriorati, e in seguito ad una manovra acrobatica il motore si spense e l’aereo precipitò, uccidendo per sempre i sogni di Pesola che morì a soli 29 anni. Fu uno dei piloti foggiani più decorati con due medaglie d’argento, una di bronzo e due croci al merito concesse dopo la morte, oltre a encomi e a una croce di guerra tedesca. La città di Foggia continua a ricordarlo con una via a lui dedicata.’

 

Un grande ringraziamento va al sig. Gianfranco Pesola che ci ha accompagnato nella visita alla mostra e a Roberta Mastroluca per le foto.

This entry was posted on sabato, Maggio 5th, 2012 at 15:11 and is filed under Documenti. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. Both comments and pings are currently closed.


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